Laurent Pellissier, per chi segue TOH!, è un nome che già conosce. Questa volta, però, torna ma in copertina. Così, in una domenica avvolta dalla nebbia, abbiamo preso la strada per Pavia, dove Laurent ci ha accolto, aprendo non solo le porte del teatro che lo ospitava, ma anche quelle della sua visione creativa e del suo mondo artistico.
Il teatro, silenzioso e vuoto, respirava una calma surreale, l’unico giorno di pausa dalle frenetiche prove dell’opera che avrebbe preso vita con la prima di Rigoletto, il 22 novembre 2024, al Teatro Fraschini sotto la direzione del maestro Alessandro D’Agostini e la regia di Matteo Marziano Graziano. Un capolavoro di Giuseppe Verdi che, in questa nuova produzione, promette di mescolare tradizione e innovazione. Sotto la direzione del maestro Alessandro D’Agostini e la regia di Matteo Marziano Graziano, questa interpretazione si distingue per un approccio contemporaneo ai temi universali dell’opera.
Con Laurent, abbiamo giocato, creato e parlato, ma soprattutto abbiamo condiviso tanta arte e profondità, scendendo e salendo in continuazione i tre piani della sartoria teatrale, tra tessuti e dettagli che raccontano storie.
Una storia che, come in un perfetto slalom, abbraccia lo stile di TOH! e si fonde per la prima volta con l’intensità e la ricercatezza dei costumi di una delle opere più celebri al mondo. Tra cambi e corse veloci, abbiamo esplorato il dietro le quinte, sfiorando con le mani infiniti tessuti che ci raccontano storie, mentre le raffinate scenografie di Francesca Sgariboldi si svelavano poco a poco. Le sue scene, infatti, non sono semplici fondali, ma organismi viventi, che respirano e riflettono le fratture e le crepe di una società complessa e conflittuale.
Laurent ci ha raccontato che lavora a questi costumi da due anni, mettendo anima e cuore nella realizzazione di ogni singolo pezzo. Un elemento centrale della produzione è proprio il suo lavoro sui costumi, in cui ha scelto di utilizzare materiali di recupero per dare vita a abiti che raccontano storie uniche. Stoffe che hanno già vissuto altre vite, come i tessuti decorativi di matrimoni o i quadri a punto croce ereditati, trasformati da Laurent in costumi che non solo riflettono la complessità dei personaggi, ma parlano anche di una profonda scelta etica: quella di promuovere la sostenibilità nel teatro contemporaneo.
Le tecniche artigianali, come il boro boro e il patchwork, celebrano le imperfezioni dei materiali, trasformandole in elementi di valore estetico e narrativo. Ogni piccola imperfezione diventa un racconto, una traccia che si intreccia con quella dei personaggi e dell’opera stessa. I costumi, infatti, giocano con luce e ombra, lucentezza e opacità, creando un contrasto visivo che riflette le tensioni e le dualità presenti nei temi dell’opera.
Questa nuova produzione di Rigoletto al Teatro Fraschini offre al pubblico un’esperienza unica, che unisce la profondità emotiva dell’opera originale a una sensibilità contemporanea. Un’esperienza fatta di scelte artistiche che celebrano la sostenibilità e l’artigianalità. Un appuntamento imperdibile, quindi, per gli appassionati di opera e per chi cerca nuove interpretazioni di un classico intramontabile.
Abbiamo realizzato questo servizio senza alcuna percezione del tempo, immersi nella bellezza e nella cultura che il Teatro Fraschini ci ha donato, e nella profonda sensibilità che Laurent Pellissier trasmette attraverso il suo lavoro e i suoi occhi, di un azzurro brillante che raccontano storie senza fine.
Qual è stata la sfida principale nel rivisitare il Rigoletto con una prospettiva contemporanea?
È un’opera scritta più di 170 anni fa, con una sensibilità e un gusto molto diversi rispetto a quelli di oggi, soprattutto su certi temi. A prima vista, potrebbe sembrare intrisa di misoginia e pregiudizi verso le persone disabili (e in parte lo è). Tuttavia, scavando più a fondo nel libretto e nella musica, emergono archetipi universali e potenti che restano incredibilmente attuali. La sfida è partire proprio da questi archetipi e usarli come guida per creare una rilettura che parli al pubblico contemporaneo. Attraverso costumi, scenografie e scelte registiche, è possibile dare un’impronta attuale a un’opera che, nonostante tutto, continua a trasmettere emozioni profonde e senza tempo.
L’uso di materiali di recupero è una scelta estetica o anche etica? Come si intrecciano queste due dimensioni nel design dei costumi?
Direi entrambe, ma c’è una dimensione più profonda oltre l’estetica. I materiali che scelgo sono come archivi di storie: portano con sé un passato che si intreccia con le mie esperienze e con quelle dei personaggi. Per esempio, molti degli abiti di Gilda, la figlia di Rigoletto, sono realizzati con stoffe che decoravano un matrimonio e che la sposa ha venduto su eBay dopo la cerimonia. La giacca di Giovanna, la custode di Gilda, è fatta con un patchwork di quadri a punto croce recuperati nella periferia di Berlino da una signora che aveva ereditato l’intera collezione dalla zia. La camicia del Duca di Mantova, un personaggio maschilista e narcisista, è composta da frammenti di abiti, camicie e ricami presi da vestiti femminili.
Ho usato anche tende, lenzuola di famiglia, costumi di carnevale, scampoli, fondi di magazzino e persino sacchi di caffè.
Puoi descrivere il processo creativo dietro l’utilizzo di tecniche artigianali come il boro boro e il patchwork per i costumi?
Trovo affascinante l’idea di utilizzare i materiali fino in fondo, senza sprecarne nemmeno un frammento, e di sviscerarne l’essenza. Tecniche come il boro boro e il patchwork celebrano le imperfezioni, trasformandole in dettagli di valore estetico e narrativo. Strappando, scucendo e tagliando tessuti e abiti di seconda mano, ho creato nuove forme e texture. Ho lavorato molto anche all’uncinetto e a maglia, mescolando le tecniche per dare nuova vita e significato ai materiali.
Questo processo non è solo tecnico, ma anche emotivo: ogni imperfezione racconta una storia che si intreccia con quella dei personaggi e dell’opera.
Il concetto di “spaccatura” è centrale nella vostra visione. Come viene tradotto visivamente nell’opera?
Il tema della “spaccatura” viene rappresentato visivamente in modi diversi, a volte in modo evidente, altre volte più sottile. Le scenografie raffinate di Francesca Sgariboldi, per esempio, rivelano gradualmente, nel corso dell’opera, le fratture e le crepe della società in cui i personaggi vivono.
Le scene diventano quasi un organismo vivente, che respira e riflette le complessità e i conflitti interiori dei protagonisti.
Anche il concept registico di Matteo Marziano Graziano esplora con grande sensibilità le spaccature interiori di ogni personaggio, rivelandone contraddizioni e sfaccettature senza giudizio.
Nei costumi, ho tradotto il tema attraverso un processo creativo che parte da una riflessione interiore, prima ancora che estetica.
Ogni elemento visivo nasce organicamente da questo percorso.
C’è un materiale o un elemento visivo che, secondo te, incarna meglio l’essenza di questa produzione?
Non c’è un solo materiale, ma direi che il gioco tra luce e ombra, tra lucentezza e opacità, è sempre presente. Questo contrasto visivo riflette le tensioni e le dualità dei personaggi e dei temi dell’opera.
Le tue esperienze nei laboratori dell’Opéra di Parigi e negli atelier di ricamo hanno influenzato l’approccio ai costumi per quest’opera?
Assolutamente sì. A Parigi ho lavorato in un atelier di ricamo che collabora con grandi marchi dell’alta moda e nei laboratori di decorazione del costume dell’Opéra National de Paris. Queste esperienze mi hanno insegnato tanto sulle tecniche artigianali, sull’uso creativo dei materiali e sulla praticità necessaria a un costume teatrale. Ho capito l’importanza dei dettagli invisibili al pubblico, ma essenziali per aiutare i cantanti a “entrare” nel personaggio. Ogni costume diventa una parte fondamentale della loro trasformazione, sia visivamente che emotivamente.
C’è un personaggio del Rigoletto che ti ha richiesto un approccio particolarmente innovativo o complesso nel design del costume?
Non direi un personaggio in particolare, ma forse il coro dei cortigiani. Sono la parte oscura della società: scherniscono, deridono e agiscono con ignavia e passività. Nei loro costumi ho voluto riflettere questa dualità, mascherando l’oscurità con lustrini e paillettes, da cui però emerge qualcosa di truce e grottesco. Con i personaggi principali, come Gilda o il Duca di Mantova, ho avuto bisogno di più tempo per connettermi emotivamente, il che ha reso la realizzazione dei loro costumi più impegnativa.
C’è un designer particolare che ti ispira per il suo stile o approccio?
Vivienne Westwood, prima di tutto. Ma anche John Galliano, Francesco Risso e Matty Bovan. Ammiro la loro libertà nell’uso dei materiali, delle forme e dei colori.
La sostenibilità nei costumi sta diventando un tema sempre più centrale nel teatro. Come vedi il futuro di questa tendenza nel tuo settore?
La sostenibilità è un tema che mi sta molto a cuore e che sta iniziando a emergere sia nella moda che nel teatro, ma c’è ancora molto da fare. Non deve essere solo una strategia di marketing, ma un cambiamento profondo che parte dalla progettazione stessa delle produzioni.
Noi di TOH! ti conosciamo bene e apprezziamo la tua sensibilità. Fai parte orgogliosamente della comunità queer. C’è un po’ di queerness nei costumi creati per l’opera?
Assolutamente sì, c’è sempre un po’ di queerness nel mio lavoro. Alcuni personaggi, come deciso dal regista, sono dichiaratamente queer, mentre altri hanno un’ambiguità che lascia spazio a letture diverse.
Nei costumi cerco sempre di rompere le regole, superando gli stereotipi o portandoli all’estremo.
La queerness è presente anche nel processo creativo non lineare e nell’uso di materiali inusuali.
Cosa significa per te creare abiti che riflettano la fragilità e la resilienza dei personaggi di Verdi?
Significa lasciarmi guidare dall’intuizione, mettendo in gioco le mie stesse fragilità e conflitti. Quando lavoro, mi lascio ispirare dal materiale stesso, come se fosse una scultura.
A volte mi capita di creare un capo senza sapere a chi appartenga, ma alla fine trova sempre la sua collocazione.
È un processo emotivo, quasi inconscio, che dà forma alla fragilità e alla resilienza dei personaggi.
Photographer Alex Vaccani with Alessandro Marzo
Styling & Concept Alex Vaccani + Alessandro Marzo
Date delle rappresentazioni:
- Domenica 24 novembre – Teatro Fraschini, Pavia – Ore 15:00
- Giovedì 28 novembre – Teatro Sociale, Como – Ore 20:00
- Sabato 30 novembre – Teatro Sociale, Como – Ore 20:00
- Giovedì 12 dicembre – Teatro Ponchielli, Cremona – Ore 20:00
- Sabato 14 dicembre – Teatro Ponchielli, Cremona – Ore 15:00
- Venerdì 10 gennaio – Teatro Donizetti, Bergamo – Ore 20:00
- Domenica 12 gennaio – Teatro Donizetti, Bergamo – Ore 15:00